Questo contributo, come emerge dal titolo, vuole essere una continuazione del primo articolo di qualche giorno fa sui fatti di Borgo Dora e del mercato di libero scambio, cioè una rassegna di restituzione da parte di compagn*, per proseguire la lotta alle espulsioni nel quartiere.
<<[…]ma le fotografie chiudono sempre il visibile in un rettangolo. Il visibile senza cornice è sempre un’altra cosa.>>
(Tabucchi A., Notturno indiano )
Al Balon oggi c’è il sole, fioco, eppure c’è. Ci sono i ciottoli di Via Borgo Dora, scomodi e bellissimi, delle volte ci si inciampa sopra, maledicendoli. C’è una piola, che accusa il passare del tempo ed un ristorante più moderno che invece il tempo lo rincorre. C’è un’edizione del 1965 de L’attenzione di Moravia, c’è Il rosso e il nero di Stendhal, c’è un calcetto consumato dal gioco, ci sono delle vecchie sedie di un cinema oramai chiuso, ci sono due lampade, antiche ma riverniciate di azzurro e verde pastello. C’è una cartolina, i cui bordi sono logorati, che zia Emilia ha inviato da Padova, intorno al 7 maggio 1959, ai figli di sua sorella, mandando a quest’ultima e ai nipoti affettuosi saluti e un caloroso abbraccio; c’è una foto scattata nelle Alpi torinesi quasi cento anni fa, c’è un vinile dei Talking Heads, poi c’è un maglione vecchio, un candelabro dorato, una camicia scolorita, un jeans anni ’80, un vestito da sposa, che chissà a chi è appartenuto, c’è un set di tazzine di porcellana e ci sono i fogli di un diario la cui grafia indecifrabile ne rende impossibile la comprensione. C’è di tutto al Balon e ci sono i mercatari che restituiscono vita agli oggetti.
Era il 1857 quando il “mercato dei cenci” si insediò nell’area di Piazza della Repubblica, estendendosi fino alla Dora e ospitando, ogni sabato, feramiù e straccivendoli. Il Balon, la cui etimologia del toponimo è frammentata tra le svariate interpretazioni, oggi si svolge nelle vie Borgo Dora, Cottolengo, Mameli, Lanino, Vittorio Andreis e accoglie centinaia di bancarelle dall’antiquariato all’artigianato, dalla rigatteria al vintage, al semplice usato.
Da Via Mameli, in direzione Dora, camminiamo, imbocchiamo, sulla sinistra, Vicolo canale dei Molassi, svoltiamo ancora una volta a sinistra, giungiamo in Via Andreis. Fin qui le strade sono ancora ricoperte da grossi ciottoli, procediamo e svoltiamo un’ultima volta ma verso destra, approdiamo in San Pietro in Vincoli. Eccoci, siamo nel cuore del problema: il suk. Problema poiché rappresenta, per l’amministrazione comunale, un ostacolo che rende difficile il raggiungimento dell’auspicata riqualificazione. Mercato di libero scambio divenuto abusivo dal 27 dicembre scorso, quando la giunta comunale ha approvato la delibera che prevedeva l’accompagnamento del suk in Via Carcano. Nella mattina del 4 ottobre, in via precauzionale per un eventuale riposizionamento nella vecchia sede di Piazza San Pietro in Vincoli, sono stati collocati, dalle forze dell’ordine, dei “dispositivi fisici”. Eufemismo utilizzato da Chiara Appendino per descrivere le barriere Jersey, un dispositivo di sicurezza modulare di cemento per alcuni, per altri un muro. La sindaca controbatte e ringrazia <<chi si è scomodato a precisare cos’è un muro.>>. Ma cos’è un muro ? Un muro, come suggerisce una nota enciclopedia, è una struttura edilizia verticale portante, realizzata come ossatura di un edificio o come delimitazione di uno spazio esterno. I muri si distinguono secondo funzione e caratteristiche, con tutta probabilità il muro in questione, i dispositivi fisici inseriti a San Pietro in Vincoli, sono di recinzione. Se si volessero davvero giudicare tali dispositivi fisici come muro, un’interpretazione di quest’ultimo oggi non può trascurare la chiarificazione del significato del termine confine. L’etimo è latino, con-finis, ed indica un limite, una delimitazione.
<<All’inizio della storia dell’insediamento di ogni popolo, di ogni comunità e di ogni impero sta sempre in qualche forma il processo costitutivo di un’occupazione di terra. […] L’occupazione di terra precede l’ordinamento che deriva da essa non solo logicamente, ma anche storicamente. Essa contiene in sé l’ordinamento iniziale dello spazio, l’origine di ogni ulteriore ordinamento concreto e di ogni ulteriore diritto. Essa è il “mettere radici” nel regno di senso della storia.>>
Schmitt traccia un’ipotesi suggestiva circa il nesso che esisterebbe tra l’appropriazione di un territorio e la costituzione di una comunità politica. È solo attraverso l’occupazione di terra, seguita dalla sua divisione, che si consente ad una comunità di esistere, ed è innanzitutto in virtù di tale occupazione che può essere costruito uno “spazio”. Nella terra trovano appoggio i confini adatti alla costruzione di una comunità e al fissaggio di una barriera tra il dentro e il fuori. I presupposti per l’esistenza di una comunità si fondano così sull’insediamento in un dato territorio, nella sua delimitazione mediante confini e nella loro difesa contro ogni insidia proveniente dall’esterno. Scrive ancora Schmitt: << La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto. […] la terra reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Famiglia, stirpe, ceppo e ceto, tipi di proprietà e di vicinato, ma anche forme di potere e di dominio, si fanno qui pubblicamente visibili.>>
Ecco, la teoria schmittiana a proposito del momento cruciale della fissazione dei confini appare in qualche maniera convalidata dalla ricostruzione etimologica operata da Benveniste, il quale esaminando il tema della regalità reperisce gli elementi di un inaspettato legame che lega tra loro due termini latini: rex e regio. La domanda sorge qui spontanea, cosa c’entra ? C’entra, appare pertinente poiché il rex latino rimanderebbe ad un antico *reg-, che Benveniste congiunge al verbo greco orégo, da tradursi come <<stendere in linea retta>>, o <<più esplicitamente, ‘a partire dal punto che si occupa, tirare in avanti una linea retta’>>. Questo significato sarebbe identificabile nel termine latino regio, che <<non vuol dire all’origine ‘la regione’, ma ‘il punto raggiunto in linea retta ‘>>.
Ora, procedendo più speditamente, il rex è anche colui che è incaricato di regere finis, ossia di <<tracciare i confini in linea retta>>. Attenzione a non far coincidere la figura del rex esclusivamente con il re, con l’autorità politica; il rex è prima di tutto un’autorità religiosa impegnata nella missione morale di regere finis, di definire e indicare il retto, l’onesto, il giusto.
Mostra la via da seguire, stabilisce la regola della comunità, la sua correttezza. Alla regolamentazione della comunità corrisponde una terra da poter dosare nello spazio per sottrarla al caos. L’autorità del rex e del potere politico che ne deriva consiste nel tenere la linea e più la linea è dritta, più la sua autorità è fondata. Ora l’intento dichiarato dalla giunta comunale nel caso del suk è quello di <<restituire dignità a chi lo anima, fornendo servizi e un luogo adatto per l’esercizio del commercio nel perimetro di regole condivise che si integrino nel territorio affinché tutto possa svolgersi nella serenità.>>. Ma come si può restituire dignità relegando in uno spazio altro e ben distante dalle vie che animano il mercato del Balon ? E come si fa a ringraziare, come è accaduto, i 239 e 417 mercatari che, rispettivamente, sabato 5 e domenica 6 ottobre hanno richiesto il proprio stallo in Via Carcano ? Probabilmente non si può, presumibilmente non è corretto.
Le istituzioni e la cultura ufficiale esaltano e incoraggiano in maniera frenetica e trionfalistica il cambiamento socio-economico, in una rappresentazione in cui la svolta sociale è evidente e il vantaggio per l’economia indiscutibile. Tuttavia non è esattamente così, tutto questo ha un rovescio della medaglia che viene colto se si sposta lo sguardo sulle periferie disordinate, lontane dalle regole di qualsiasi convivenza, dove si concentra una popolazione indigente, un sottoproletariato che utilizza un proprio codice di vita, lingua diversa da quella ufficiale del linguaggio della comunicazione e con cui non si dialoga. Poiché se si dialogasse si scoprirebbe che le centinaia di mercatari che hanno richiesto lo stallo in Via Carcano nelle scorse settimane lo hanno fatto sottomettendosi, comprensibilmente diremo, al principio della necessità.
La costruzione di uno “spazio” è sempre un fenomeno estremamente complesso, in cui le dimensioni simboliche si intrecciano anche con altre implicazioni di potere. Si è dinnanzi ad una polarizzazione sociale e spaziale tra una zona ricca e una zona povera, che viene legittimata da un discorso politico basato sulla sicurezza, ma che si inchina invece alle logiche di mercato. Le dinamiche sociali ed economiche insieme con le società urbane sono mutate e continuano a mutare, eppure i meccanismi che producono e riproducono la distanza fisica e sociale tra individui e gruppi conservano intera la loro forza. I dispositivi fisici inseriti in San Pietro in Vincoli non ricalcheranno tangibilmente la definizione edilizia del termine muro, ma per chi non si limita ad essere mero misuratore del visibile rappresentano il tentativo di accentuare una divario sociale, che in questo modo diviene irrimediabilmente anche fisico. Bisognerebbe rappresentare, con vividi colori, le insidie che una trasformazione imposta a tavolino dalle istituzioni può arrecare.